Furtivo come un ladro, violento come un

Furtivo come un ladro, violento come un assassino, omertoso come un mafioso, uscii alle prime ore del mattino per farmi una passeggiata, la più stigmatizzata delle attività. Avevo lasciato Lui a casa e questo mi bastava per sentirmi al sicuro qualora fossero passati, fisicamente o virtualmente, a controllare che io fossi in casa e non a zonzo. Da qualche parte oltre il mio orizzonte degli eventi il sole si preparava ad affacciarsi, ancora con troppa incertezza affinché potessi rendermene conto e distinguere i colori; ma i miei occhi durante la quarantena si erano abituati a fare a meno di troppa luce solare e riuscivo a camminare con una certa dimestichezza lungo quei muri ora proibiti. Il silenzio era il più ostile nemico dei miei passi, attuti in qualche modo dall’erba che aveva preso a crescere fra gli interstizi dell’asfalto, lungo i marciapiedi, fra una mattonella e l’altra e nelle loro crepe, sopra i copertoni delle auto inutilizzate su cui le piogge avevano lasciato che il fango si accumulasse. Molte delle auto erano però scomparse, rimaste nelle periferie da cui ogni mattina si muovevano per occupare i parcheggi del centro, le persone invece erano scomparse del tutto, restava solo qualche ombra, come la mia, che vedevo furtiva, violenta e omertosa sporcare le pareti ripulite dall’umanità. Con il passare dei mesi il governo aveva cominciato a stendere dei piani più dettagliati per fronteggiare la situazione; quando Il Picco, come ogni oppio popolare, aveva cominciato a perdere i suoi effetti anestetici e analgesici, e neppure le dosi più intense, con più ravvicinati annunci del suo raggiungimento, sembravano funzionare, si era necessario cambiare medicinale. La televisione aveva iniziato la terapia con un’infusione giornaliera di nostalgie: immagini, filmati e racconti del mondo che fu riempivano il palinsesto fra una chiacchierata fra esperti e l’altra; la macchina mediatica cercava di risvegliare epoche felici nelle quali affogare la piattezza della quotidianità per poi piano, lentamente, scoperchiare gli aspetti più brutali di quel passato, fornici di lenti incapaci di edulcorare. Ci stavamo lasciando un mondo alle spalle e non tutto di questo mondo era bello, non tutto andava salvato e, anzi, il Virus poteva essere l’occasione di rinascita, di liberazione, di emancipazione da strutture millenarie che non avevamo mai avuto la forza di rifiutare per davvero. Il mondo di domani divenne la Fase Due della nostra cura e per disegnarlo era necessario cancellare ciò che lo aveva preceduto. Una modesta proposta del Comitato Scientifico aveva riflettuto sulle difficoltà che la vita in famiglia aveva generato durante il periodo di contenimento: la famiglia era stata d’altronde riconosciuta come quella istituzione in cui avvenivano la maggior parte dei crimini sommersi, la violenza verbale e fisica, il paternalismo nei confronti dei giovani, la volontà di dominio, la convivenza forzata. La famiglia era un grande alimentatore del nostro egoismo, tutto orientato a fare il bene di quei pochi che ci stavano attorno e di conseguenza ignorare la totalità del mondo che usciva da quei miseri e abietti confini. C’era qualcosa che si poteva salvare della famiglia? Certo non i crimini taciuti e la violenza strisciante, e altrettanto certamente era nostro legittimo desiderio volere qualcosa di meglio. Chiusi nelle nostre abitazioni, ogni positivo finiva per contagiare tutti gli altri: così avremmo affrontato la prossima pandemia? Un mondo di individui, ognuno nel proprio appartamento, avrebbe ridotto il contagio prossimo a venire. In un mondo del genere io avrei contagiato Lui e Lui avrebbe contagiato me, ma nessun altro. Una bozza sfuggita di mano e inavvertitamente diffusa conteneva una postilla alla modesta proposta: essendo la socialità il veicolo principale del contagio, esisteva una radicale soluzione al problema di questa e di ogni altra pandemia: la propria intimità. Grazie all’evoluzione tecnologica era possibile lavorare dal proprio appartamento, da questo fare la spesa e comodamente riceverla, senza il bisogno di alcuna interazione umana superflua e igenicamente pericolosa, niente più vacui saluti e condivisione di spazi ridotti. Non solo questo Virus, ma ogni virus, ognij batterio, ogni infezione, ogni tossicità sarebbe rimasta affare nostro personale, reso incapace di danneggiare la salute e la libertà altrui. Solo così si sarebbe realizzata una società pienamente libera, di individui che si autodeterminano e non sono determinati da altri né esplicitamente né implicitamente. La libertà individuale si sarebbe compiuta per davvero perché troppo distante per limitare la libertà altrui, sarebbe finita a distanza di sicurezza da dove cominciava quella dell’altro. Restava il problema della trasmissione nei confronti dei bambini; sottoposti al tampone all’atto della nascita per legge, ognuno di questi veniva al mondo positivo da, tamponata anch’ella, madre positiva. Solo una procreazione più contenuta, e fintanto annullata, avrebbe davvero fermato ogni contagio prossimo a venire. Senza l’umanità il virus sarebbe finalmente stato sconfitto.
Con la testa piena di tali pensieri tanto da tappezzarne i muri continuai a girare senza una meta precisa, fino a ritrovarmi di fronte al portone e salire a casa da Lui.
Senti, non è sicuro che tu stia qui, gli dissi.
Anche se lo volessi non potrei andare via, mi rispose.
Non hai una casa dove andare?
Certo che ho una casa, come te.
E allora vacci.
Ci sono già andato.
Vacci di nuovo.
Ma io ci sono già andato.
Potrebbe sentirti il vicino, è da un bel po’ che non lo vedo e non credo se la passi tanto bene. Anzi, sono sicuro che sarà uno di quelli che non vede l’ora di far scattare una denuncia. Girano delle voci strane a questo proposito.
Tu hai sentito queste voci?
Hai capito cosa intendo.
A quali voci ti riferisci?
A quelle.
Quali?
Le voci che girano.
In strada?
No, girano.
Non è un bel segno di stabilità sentire delle voci, lo sai?
Sento la tua.
Credi forse che il vicino non ti abbia sentito in questi mesi?
Ma che c’entra?
Ti sente adesso come prima, oppure non ti ha sentito mai. Chi ti dice che sia ancora vivo? Vai a dare un’occhiata.
No, non credo. Non fino a quando non mi danno lo strumento.
Quale strumento?
Per poter uscire.
Eri fuori poco fa.
Tu non ti sei mai mosso da qui.
Gli altri non lo sanno.
Quali altri?
Il vicino.
Hai detto che è morto.
Potrebbe. Comunque non è il solo.
Quali altri?
Le autorità.
Quelli delle voci?
No, quelli no.
Loro sanno che tu eri qui.
Loro sanno che qualcuno era qui.
Esatto, e solo io abito qui. Il ragionamento fila, è perfetto.
Non possono saperlo, in ogni caso. Ancora non possono.
Cosa intendi con ancora?
Finché non hanno lo strumento.
Idee sulla indotta estinzione umana quale veicolo per l’estinzione del virus non ripugnavano l’orecchio di chi da mesi aveva imparato a odiare gli altri, restavano però troppo lontane nell’orizzonte temporale per soddisfare il bisogno più immediato di essere salvati e a questo, come per ogni altro nostro ambito dell’esistenza, venne in soccorso la tecnologia, che è sempre buona, perché sempre ci rende migliori. Il mondo che si sarebbe dovuto costruire domani doveva essere diverso dal mondo di oggi, crollato di fronte a un imprevisto come un castello di carte senza mostrare la benché minima, come dicevano? Ah già, resilienza. Sconfiggere questo virus non ci avrebbe messo in salvo da tutti i possibili imprevisti futuri, però ci avrebbe potuto fornire gli strumenti per affrontare più diligentemente il futuro. Fu per questa ragione che ci venne promesso per il proseguimento della nostra vita, lo strumento, un accessorio da portare con noi con la stessa naturalezza con cui d’inverno mettiamo il cappotto quando usciamo e se sta piovendo prendiamo l’ombrello. Lo scopo dello strumento era quello di ridurre la quantità di incertezza alla quale siamo quotidianamente esposti, un servizio meteo della nostra esistenza ma con più accurate e certificate capacità di previsione e analisi istantanea. Prima di ogni cosa, lo strumento ci avrebbe segnalato la presenza di persone potenzialmente infette nelle nostre vicinanze e fornito una proiezione in tempo reale delle possibilità di contagio nel nostro raggio di riferimento: se entri al bar ora hai il 25% di possibilità di essere colpito dal Virus, se giri a destra la possibilità scende dell’11%, se stai toccando il telefonetto l’incremento è del 37%. Diventava necessario muoversi con occhi fissi sullo strumento che d’altra parte ci avrebbe anche indicato gli ostacoli lungo la strada: che senso poteva avere non essere contagiati se poi si rischiava banalmente di scivolare sul marciapiede (possibilità dell’evento: 8%) e di conseguenza morire nel 6,3% dei casi? Il nostro folle incaponirci ad affrontare un mondo di incertezza senza gli strumenti adatti era all’origine dei danni inflitti da questo Virus e, di conseguenza, delle decisioni prese dal Comitato Scientifico per ostacolarne la diffusione. Nessun governo e nessun Comitato Scientifico poteva essere così moralmente irresponsabile da consentirci di abbandonare queste misure di contenimento atte a preservare la nostra vita senza prima fornirci delle risorse necessarie ad affrontare il mondo con minore ingenuità e maggiore sicurezza. Lo strumento ci avrebbe fatto impallidire nel ripensare alle nostre vite spensierate del mondo-che-ci-fu, giocatori tutti di una grande roulette russa in cui i proiettili della vecchia e lurida Colt erano almeno cinque e si chiamavano: malattie, infortuni, incidenti, violenze, accidenti. Non poteva considerarsi, nel disegnare il mondo-che-ci-sarà, che questo nostro atteggiamento spensierato e anti-scientifico aveva portato nel corso dei secoli alla morte di miliardi di persone, di tutte quelle che erano mai nate. Proteggere una vita dal Virus per lasciarla poi in balia di tutti gli altri eventi potenzialmente mortali era qualcosa che nessuno avrebbe più accettato, ma che fortunatamente lo strumento si apprestava a risolvere. Affrontati i problemi ambientali, fra cui il rischio di contrarre fastidiosi malanni quando si sceglieva di uscire con raffiche di vento superiori ai 60 nodi o quello di slogarsi una caviglia quando si andava a correre, lo strumento avrebbe affrontato anche i più infidi problemi relazionali. La sua mappa pervasiva ci avrebbe informato del rischio che ogni singola persona costituiva per la nostra salute: incontrare un fumatore +13% di possibilità di sviluppare un cancro nei prossimi 25 anni; incontrare un vecchio compagno di scuola +26% di possibilità di sviluppare una tracheite nella settimana successiva; incrociare una persona con un passato violento +180% di possibilità di avere un occhio nero nel corso dell’anno solare e tutto questo lo avrebbe fatto conoscendo tutto ciò che c’era da conoscere su ogni persona che girava industurbata, ma in maniera potenzialmente letale, per il mondo. Lo strumento era l’unico modo di salvarci dagli altri e di salvare gli altri da noi.

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